16 MARZO 2016
La quinta colonna di ISIS in Europa
DI Maria Carolina Mazzone

Gli attentati di Parigi dello scorso 13 novembre hanno colpito profondamente la società occidentale europea e i suoi valori. Infatti, il teatro, i ristoranti e lo stadio simboleggiano una collettività in cui si raggiungono condivisione e benessere. Un benessere che, tuttavia, non sembra essere stato conseguito da una parte della popolazione europea.  La maggior parte dei responsabili degli attentati sono infatti cittadini europei che hanno abbracciato dottrine islamiche radicali rifiutando i valori europei nei quali sono cresciuti. L’origine del fenomeno dei foreign fighters legato a matrici jihadiste risiede, dunque, anche in Europa, espressione genuinamente autoctona di un profondo disagio sociale e di un grave smarrimento identitario e culturale. Il caso di Abdelhamid Abaaoud, la mente degli attentati, cittadino belga di origini marocchine fuggito dall’Europa per combattere in Siria con le milizie dello Stato Islamico (IS), è soltanto una delle testimonianze di questo fenomeno in crescita in tutta Europa.

Il Consiglio di Sicurezza definisce, in una risoluzione del 2014, i foreign fighters come coloro che lasciano il Paese di residenza o di nazionalità per perpetrare atti terroristici e forniscono o ricevono addestramento terroristico in relazione a precisi conflitti armati. Eppure, il fenomeno di combattenti stranieri è di antica origine. Si pensi ai casi dei conflitti in Afghanistan e in Bosnia, dove vi è registrata una elevata affluenza di miliziani provenienti dall’estero.

In Europa, i Paesi in cui si è registrato un maggiore reclutamento di foreign fighters sono Francia, Regno Unito, Germania e Belgio, tutti Paesi dove risiede una consistente porzione di fedeli islamici. Si aggiunga che in questi Stati vi sono città con periferie particolarmente vaste, dove risiedono prevalentemente gruppi di immigrati e minoranze che rimangono ai margini della vita sociale. Il nucleo embrionale del jihadismo europeo si è costituito storicamente proprio in queste aree, dove si è realizzata una profonda scissione tra le comunità di immigrati di seconda e terza generazione e il complesso dei valori di riferimento e di identità dei Paesi di residenza. Il fallimento dell’integrazione multiculturale ha portato alla diffusione dell’estremismo islamico come valvola di sfogo del malcontento e come via d’uscita all’isolamento socio-culturale e all’alienazione economica.

Secondo stime recenti, i giovani musulmani europei che sono partiti dall’Europa per schierarsi a favore dell’IS sarebbero circa 7000. Il fenomeno colpisce la popolazione musulmana europea di seconda o terza generazione, precisamente giovani di circa vent’anni e un cospicuo numero di minori, poiché i giovani costituiscono la fascia della popolazione più vulnerabile e influenzabile.

In tal senso si spiega la scelta dell’utilizzo dei social networks e di internet come strumento più utilizzato per il reclutamento e la persuasione dei giovani jihadisti, cosa che rende difficile la prevenzione e la coercizione di questo fenomeno. Inoltre è evidente che i giovani combattenti europei, una volta tornati dalla guerra, vengono considerati strumenti di diffusione di ideologie radicali e terroristiche in Europa.

Per comprendere quali sono le ragioni di un incremento nel numero dei foreign fighters, è necessario partire dall’analisi del disagio che i giovani musulmani europei provano a causa di un mancato processo di integrazione. Come si è visto, molti sono cresciuti in quartieri periferici e banlieue delle grandi capitali europee, in cui le differenze culturali e religiose tra la comunità musulmana e le altre sono state manipolate ed esacerbate dalla propaganda politica di alcuni movimenti estremisti. Si pensi alla periferia di Molenbeek in Belgio, che costituisce una realtà con una propria identità a parte rispetto alla città di Bruxelles e in cui in cui si è attuato un vero e proprio processo di radicalizzazione dei giovani musulmani europei attraverso la rete sociale della comunità stessa.  

La crisi economica e la disoccupazione, che spesso caratterizzano in modo più accentuato le aree periferiche dei grandi centri urbani, hanno ulteriormente peggiorato la situazione. La mancanza di opportunità economiche sottolinea ancora di più la percezione di esclusione dalla società occidentale europea. Di conseguenza i giovani risiedenti in queste aree vengono spesso coinvolti in attività di tipo criminale. Si può notare che alcuni degli attentatori di Parigi provenienti dalle periferie belga e francesi, erano già noti alle autorità per attività di tipo criminale.

Un’altra delle motivazioni che spinge i giovani musulmani europei ad abbracciare la logica della jihad e dell’IS, è l’Islamofobia: dopo gli attentati del 11 settembre 2001, si è assistito a una preoccupante demonizzazione dell’Islam e ad una sua identificazione con gli obiettivi del terrorismo islamico da parte di movimenti e partiti ultra-conservatori europei.

Di conseguenza, non sono soltanto motivazioni religiose a spingere i giovani a lasciare i propri Paesi di origine per combattere in Siria o in Iraq, ma è la volontà di trovare un riscatto nella società e la voglia di approdare in una comunità di appartenenza. E’ dunque sul malessere delle nuove generazioni che lo Stato Islamico punta maggiormente per reclutare i suoi sostenitori e la volontà di raggiungere la realizzazione personale spinge i giovani cittadini europei musulmani a sostenere l’estremismo islamico.

Dinnanzi alle cause che spiegano perché vi sia un incremento del numero dei foreign fighters europei, è necessario provare a identificare e riproporre quali sono le soluzioni per la riduzione di questo fenomeno. 

A livello sociale appare indispensabile che vengano sviluppate politiche di integrazione più forti rivolte ai giovani per ridurre i fenomeni di discriminazione e razzismo verso la comunità musulmana, fenomeni che alimentano odio e violenza verso la società in cui vivono. A tal proposito si potrebbero sviluppare campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, che stimolino la convivenza con le comunità musulmane, ma che contemporaneamente espongano i rischi per coloro che intraprendono il percorso di foreign fighter. Inoltre è importante favorire lo sviluppo di un sistematico meccanismo di reintegrazione dei combattenti stranieri di ritorno da Siria e Iraq in Europa e un efficace monitoraggio delle loro attività, limitando così la diffusione di ideologie radicali.

A livello economico è necessario che i governi si mobilitino per risanare le aree economicamente depresse delle grandi città, favorendo un maggiore sviluppo economico e occupazione, attuando incremento dei servizi che riducano la disparità tra zone limitrofe e centro città. Tutto questo ricordando come, oltre ad agire sulle singole società, i membri della Comunità Internazionale devono necessariamente individuare una exit strategy per la guerra in Siria ed Iraq, al fine di neutralizzare il santuario logistico e simbolico dei combattenti stranieri.  Tuttavia, data la posizione dei diversificata dei Paesi occidentali e non sul tema, non vi è spazio al momento per una soluzione in breve tempo.