30 NOVEMBRE 2015
Lo Stato Islamico e l’uso strategico della comunicazione
DI Stefania Azzolina

Nel corso degli ultimi due anni, lo Stato Islamico (IS) si è progressivamente affermato come gruppo leader all’interno del panorama jihadista internazionale. Accanto alle progressive conquiste territoriali delle milizie di al-Baghdadi in Siria e in Iraq, il sapiente utilizzo dei mezzi di comunicazione ha giocato un ruolo fondamentale nella diffusione a livello globale di un’immagine vincente dello Stato Islamico.


La stessa riabilitazione dell’istituzione del Califfato, proclamata il 29 giugno 2014, è stata frutto di un preciso obiettivo, volto a riesumare gli antichi fasti di un passato glorioso da contrapporre al momento presente, caratterizzato da forti difficoltà dal punto di vista istituzionale, politico e economico del contesto siriano e iracheno e, più in generale, dell’intera area mediterranea e mediorientale.


Dunque, le fondamenta dello Stato Islamico si reggono su un sistema di propaganda la cui organizzazione, ben definita e articolata, lo rende lo strumento di comunicazione più complesso sviluppato sinora da un gruppo terrorista. A ben vedere, tale struttura risponde all’esigenza primaria di fornire un’ulteriore fonte di legittimazione alla connotazione di tipo statuale che al-Baghdadi e le sue milizie vogliono vedere riconosciuta ai territori posti sotto il loro controllo. A differenza degli altri gruppi di ispirazione jihadista, infatti, lo Stato Islamico si distingue nettamente in virtù della sua tendenza alla statalizzazione e alla gestione diretta delle regioni conquistate, attraverso la costruzione di una rete sia amministrativa sia di welfare per esercitare un controllo di tipo uniforme e centralizzato.


L’importanza che il settore propagandistico ricopre nelle priorità del gruppo di al-Baghdadi si evidenzia anche all’interno di tale ordinamento statale. Tra i diversi dipartimenti istituiti, il Dipartimento Comunicazione gode, infatti, di un’enorme centralità soprattutto dal punto di vista dei sovvenzionamenti a esso destinati. All’interno dell’apparato propagandistico vige una strutturazione simile a quella militare dove i vertici, oltre a gestire centinaia di produttori, editori e operatori video, vengono coinvolti anche nell’ambito di decisioni di natura strategica e di gestione territoriale. La leadership del settore comunicativo ricopre, quindi, una posizione di alto rango all’interno della gerarchia amministrativa con stipendi di gran lunga superiori a quelli dei combattenti nelle fila delle milizie dell’IS.


Grazie ai continui rifornimenti di telecamere, computer e di tutte le strumentazioni tecniche necessarie, provenienti per la maggior parte dai porosi confini turchi, gli addetti alla comunicazione sono impegnati costantemente nella ripresa di scene di combattimenti, esecuzioni pubbliche nonché delle attività svolte dai funzionari politici e amministrativi al servizio dello Stato Islamico. A seconda dei destinatari e dei messaggi che si vogliono veicolare, il luogo delle riprese si trasforma in un set, dove combattenti, esecutori e personale amministrativo devono attenersi ad un vero e proprio copione. Questo modus operandi risponde all’esigenza di attuare una vera e propria strategia comunicativa che permetta di raggiungere un pubblico più vasto possibile. Attraverso un singolo video, infatti, gli addetti ai lavori cercano di captare sensibilità diverse in grado di interpretare le immagini diffuse in maniera differente. In questo modo, ad esempio, il video di una decapitazione può provocare un sentimento di forte terrore o un’immagine di estrema potenza del Califfato a seconda degli schemi interpretativi utilizzati dallo spettatore.


Tali capacità comunicative, che denotano un alto livello di conoscenza delle modalità di utilizzo dello strumento mediatico, sono il risultato di un attento lavorio tecnico. Grazie alle analisi effettuate da diversi esperti informatici sui numerosi video diffusi sul web dallo Stato Islamico è emerso, infatti, un sapiente lavoro di costruzione scenografica, con una particolare attenzione agli effetti luce, ai suoni e al posizionamento dei vari soggetti all’interno della cornice rappresentata.


Nonostante la realizzazione di video rappresenti la componente più importante della vasta operazione propagandistica posta in essere dallo Stato Islamico, gli addetti alla comunicazione hanno sviluppato anche altre forme di divulgazione, tra le quali ha assunto una posizione di rilievo la rivista online “Dabiq”. Pubblicata per la prima volta nel luglio del 2014 con l’eloquente titolo “Il ritorno del Califfato” la testata viene puntualmente diffusa ogni mese ed è disponibile in numerose lingue. Anche in questo caso, la scelta del nome della testata rientra all’interno della strategia comunicativa studiata dagli addetti ai lavori e caratterizzata da una forte presenza di rievocazioni simboliche. Infatti “Dabiq” sembrerebbe far riferimento all’omonima cittadina a nord della Siria, indicata in un hadith del Profeta Maometto come il futuro campo di battaglia in cui si affronteranno gli eserciti cristiani e musulmani.


Un’analisi dei contenuti della testata, strutturata alla stregua di qualsiasi rivista di tipo occidentale, permette di evidenziarne i fini specifici. Le esigenze di legittimazione dello Stato Islamico vengono soddisfatte grazie all’inserimento dell’opera di al-Baghdadi lungo il filo rosso della Guerra Santa e della lotta alle popolazioni infedeli. Inoltre, elemento di assoluta novità rispetto al passato, attraverso le pagine di Dabiq viene veicolato un messaggio di attrazione non solo nei confronti di potenziali giovani reclute ma anche verso le donne come nuove possibili cittadine dello Stato Islamico. Non a caso la linea editoriale di Daqib è inconfondibilmente volta a veicolare un’immagine di stabilità e sicurezza all’interno dei territori amministrati.


Come già accennato, le notevoli capacità propagandistiche dello Stato Islamico non si esplicano solamente nella fase di elaborazione, ma, soprattutto, nella fase di diffusione del materiale. Da questo punto di vista, i social network come Twitter, Telegram e YouTube, strumenti che ormai fanno parte della nostra quotidianità, sono divenuti le armi più potenti in dotazione ai militanti dell’IS, un vero e proprio “arsenale” a disposizione degli addetti alla propaganda per raggiungere ogni giorno potenziali adepti. A ben vedere, quindi, l’utilizzo delle nuove tecnologie comunicative ha inciso in maniera estremamente positiva sulle capacità e sulle modalità di azione dello Stato Islamico al di fuori dei suoi confini ed ha permesso di incrementare in brevissimo tempo il numero di reclute e fiancheggiatori in tutto il mondo. Ci si riferisce in particolare al fenomeno dei foreign fighters, giovani combattenti né siriani né iracheni, ma provenienti da Paesi stranieri come le vicine Monarchie del Golfo, l’Africa settentrionale, Russia e Europa. Volendo dare delle stime, seppur approssimative, si parla di circa 25.000 miliziani, di cui tra i 3.000 e i 5.000 provenienti da Europa, Stati Uniti, Canada e Australia. Nel caso dei militanti provenienti dai Paesi occidentali si tratta di figli di immigrati di seconda o terza generazione, che decidono di recarsi in Siria e Iraq per abbracciare le fila dell’IS. Molto spesso questi ragazzi vivono in contesti economici e culturali fortemente degradati, in cui la propaganda dello Stato Islamico ha dimostrato di avere un’enorme capacità di attecchimento. In modo particolare, come dimostrato anche nel caso degli eventi di Parigi dello scorso 13 novembre, le milizie di al-Baghdadi sono oramai in grado di indirizzare le sacche di disagio giovanile verso i propri obiettivi, veicolando un messaggio di insicurezza e di terrore globali e portando alla scoperta tutti i limiti delle forze di sicurezza nei confronti della minaccia terroristica.


Da quest’ultimo punto di vista, gli attentati di Parigi hanno messo nuovamente in luce l’estrema abilità da parte del Dipartimento Comunicazione dell’IS di far circolare il loro materiale attraverso canali difficilmente intercettabili dalle forze di sicurezza e dell’intelligence europee, nonché di eludere i controlli posti in essere dai diversi social media provider nei confronti degli account riconducibili ai militanti jihadisti. Sempre più la propaganda dello Stato Islamico viaggia nello spazio del cosiddetto deep web, il cui utilizzo avviene tramite specifici strumenti di navigazione, nonché attraverso chat room su canali criptati, come quelli delle piattaforme di home entertainment quali PlayStation o Xbox.


In conclusione, l’enorme utilizzo della propaganda da parte dello Stato Islamico evidenzia la necessità di diversificare le strategie di contenimento alla sua minaccia. Infatti, la partita contro lo Stato Islamico si gioca sempre più su molteplici livelli, dal campo di battaglia, al web, fino alle periferie più degradate. In questo senso, i governi attualmente impegnati nella lotta all’IS dovrebbero elaborare una strategia che veda, accanto a una risposta sul piano diplomatico e militare, anche l’attuazione sia di politiche più incidenti nel contrasto all’opera di proselitismo sul web sia di programmi di natura sociale volti alla riabilitazione di quelle fasce della popolazione rivelatesi più vulnerabili al richiamo dello Stato Islamico e alla sua capacità di trasformare la rabbia e l’esclusione dal contesto circostante in uno scopo di vita ben preciso.