13 MAGGIO 2016
La competizione tra al-Qaeda e Daesh in Africa sub-sahariana
DI Carolina Mazzone

I recenti attentati occorsi in Mali (Bamako, 20 novembre 2015) in Burkina Faso (Ouagadougou, 16 gennaio 2016) e in Costa d’Avorio (Grand Bassam 13 marzo 2016) sono sintomo dell’evidente diffusione del terrorismo di matrice jihadista nell’Africa Subsahariana. Infatti, oggi il Continente Africano si presenta come uno dei più importanti scenari in cui si sviluppa l’azione di al-Qaeda e dello Stato Islamico (IS, o di seguito Daesh), entrambi abili a canalizzare il malcontento sociale delle fasce più povere della popolazione e a cooptare le rivendicazioni politiche dei gruppi etnici subordinati, trasformando le vecchie insurrezioni nazionalistiche e le antiche lotte per l’autodeterminazione in nuovi fronti regionali del jihadismo globale. Anche se al-Qaeda, per ragioni “anagrafiche” vanta una presenza più duratura nel continente, Daesh grazie all’appeal del suo modello innovativo di jihadismo, ha iniziato una rapida ascesa che rischia di marginalizzare il network qaedista. Inoltre, in virtù delle grandi opportunità politiche offerte dalle criticità etnico-sociali africane, le due organizzazioni terroristiche hanno avviato una serrata competizione per la supremazia del terrore nel continente. 

Per comprendere i motivi della crescita del fenomeno jihadista in Africa e la natura della competizione tra al-Qaeda e Daesh è necessario identificare i rispettivi modelli politici e operativi allo scopo di individuare dove e perché possono attecchire e dove no. Naturalmente, la battaglia tra al-Qaeda e Stato Islamico in Africa non si limita a una mera lotta per la spartizione di ipotetiche sfere d’influenza, ma assume i tratti di un ampio e profondo confronto tra due diverse generazioni di combattenti, due modelli di concepire la jihad e due differenti network di relazioni. In sintesi, la competizione tra al-Qaeda e Daesh racchiude in sé la sfida tra vecchio e nuovo modello terroristico.  

Sebbene Al-Qaeda si proponesse come obiettivo originario quello di guidare e unificare l’intera Umma attraverso un processo di liberazione dall’influenza occidentale, culminante nell’istituzione di un unico Califfato, essa non è mai riuscita a territorializzare in maniera strutturata il proprio potere. In questo senso, la creatura di Bin Laden e al-Zawahiri si è tradizionalmente configurata come un’organizzazione verticistica e gerarchica avente lo scopo di unificare, coordinare e promuovere le diverse formazioni jihadiste regionali, garantendo la condivisione di fondi, l’unità di obiettivi strategico-politici e la crescita comune di expertise tecnico funzionale all’attuazione di attentati e campagne di guerriglia. Anche se dal punto di vista tattico e operativo i franchise regionali e le cellule sul terreno hanno avuto a disposizione una considerevole autonomia, i vertici qaedisti stabilivano la liceità di un’azione, la conformità jihadista di un’organizzazione o di un gruppo di miliziani, l’elargizione di fondi. In sintesi, un movimento terroristico locale poteva dirsi tale se al-Qaeda lo riconosceva come parte della propria rete e, di conseguenza, ne finanziava e sosteneva le attività. Dunque, questa metodologia operativa si basava sul concetto di network e sulle elargizioni che Osama Bin Laden e altri “magnati del terrore” concedevano alle diverse branche operative dell’organizzazione. In questo senso, la presenza territoriale di al-Qaeda era garantita dai rapporti con le reti claniche e tribali all’interno delle quali i nuclei terroristici erano ospitati. Tuttavia, la rigidità della gerarchia e dell’ortodossia ideologica di al-Qaeda nonché l’imposizione delle direttive dall’alto non ha mai permesso all’organizzazione di infiltrare pienamente tali realtà clanico-tribali e di corrompere totalmente la loro agenda politica. In questo modo, più che una vera e propria fusione tra spinta ideologica terroristica e rivendicazioni politiche tribali, il rapporto tra qaedisti e realtà sociali locali si configurava come una pragmatica unione dettata da interessi convergenti.      

Tuttavia, a seguito dell’11 Settembre 2001 e della conseguente campagna anti-terrorismo globale capeggiata dagli Stati Uniti, la leadership centrale di al-Qaeda è stata significativamente indebolita. Braccata dalle polizie e dalle agenzie di intelligence di tutto il mondo e fortemente limitata nella possibilità di elargire denaro ai suoi franchise regionali, il vertice qaedista ha visto erodere la propria influenza ed il proprio prestigio. All’indebolimento del nucleo centrale è corrisposto il rafforzamento delle diramazioni periferiche, alimentato dalla crescente capacità di auto-finanziamento legata al controllo dei traffici illeciti e alla riscossione dei riscatti per il rilascio di prigionieri occidentali.   

In buona sostanza, nel continente africano, al-Qaeda agisce alla stregua di una gigantesca rete di comunicazione e coordinamento tra diversi gruppi terroristici locali, senza avere la pretesa di ideare, organizzare e supervisionare ogni loro singola azione politica e miliare. L’esempio più evidente di questo approccio network-centrico è offerto dai gruppi attivi in Nord Africa e nel Sahel, in particolare al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) e al-Mourabitoun (le Sentinelle).

Anche se al-Qaeda è stata formalmente fondata in Sudan sul finire degli anni 80, la sua capillare diffusione in Africa è avvenuta nei successivi venti anni, grazie al giuramento di fedeltà e affiliazione (bayat) con il quale il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC), organizzazione algerina nata sull’onda lunga della Guerra Civile degli anni 90, si è trasformato in AQMI ed ha accolto al proprio interno le diverse frange dell’insorgenza jihadista nordafricana.  Guidata dall’emiro Abdelmalek Droukdal, AQMI ha ereditato ed esteso l’obiettivo del GSPC di rovesciare il governo apostata (takfir) del Paese, creare un regime basato su una rigida applicazione della Sharia ed estromettere la presenza occidentale, specialmente quella francese, nell’Africa boreale.  

Nonostante inizialmente la rete jihadista di AQMI si fosse diffusa in Nord Africa, a partire dai primi anni del 2000 si è verificato un progressivo fenomeno di radicalizzazione delle tribù presenti nel Sahel. Grazie all’azione di proselitismo di Mokhtar Belmokhtar (attuale leader di al-Mourabitoun) e alla predicazione radicale dell’ideologo Abdul Razzaq el-Para, a partire dal 2003 alcuni clan Tuareg e Fulani si sono avvicinati al network qaedista. Belmokhtar aveva compreso come la natura semi-nomade di queste popolazioni, la loro profonda conoscenza del territorio, la loro diffusione in tutta le regione sahelo-sahariana e africana occidentale, il loro insediamento in zone in cui la presenza dello Stato centrale è debole, la loro emarginazione e subalternità politico-sociale rispetto ai poteri costituiti, rappresentavano elementi ottimali per incentivare la radicalizzazione e trasformare i Fulani ed i Tuareg in veri e propri vettori per la diffusione della rete jihadista in questa parte del continente.  

Il Mali costituisce uno dei principali esempi africani in cui il network di AQMI si è diffuso e pienamente realizzato attraverso questi vincoli tribali. Le cellule qaediste si sono stanziate originariamente nel nord del Paese e attraverso il loro supporto alla rivolta Tuareg per l’indipendenza della regione dell’Azward nel 2011. Sebbene l’originario progetto di AQMI prevedesse come fine ultimo l’istituzione di un emirato nel nord del Paese, con l’intervento francese del 2012 tale processo non è stato portato a termine. Uno dei motivi del fallimento è riconducibile alla difficoltà della popolazione semi-nomade dei Tuareg nell’assimilare culturalmente un eventuale passaggio da nazione a Stato e di accettare il concetto di stanzialità. Proprio a causa di questi due fattori, AQMI si è configurata in Mali come vera e propria rete terroristica che controlla precisi avamposti territoriali invece che come entità para-statale in senso stretto.

Oltre ad AQMI ed alle sue brigate sahariane, il network qaedista del Sahel è dominato dalla presenza di al-Mourabitoun e dalla personalità dei suoi due leader, Belmokhtar e Adnane Abou Walid al-Sahraoui. La capacità operativa indipendente di questo gruppo è testimoniata non solo dall’ampia gestione dei traffici illeciti di armi, droga ed esseri umani, ma anche dalla loro stessa composizione. Infatti, i miliziani di al- Mourabitoun provengono da realtà etnico-tribali non algerine, bensì tuareg, saharawi, ciadiane, sudanesi e fulani.  Inoltre, le rivendicazioni congiunte che AQMI e al-Mourabitoun hanno fatto dei recenti attentati in Burkina Faso, Mali e Costa d’Avorio testimoniano la cooperazione tra i due gruppi.

Nonostante l’attività ultraventennale in Africa e la solidità del network costruito negli anni, a partire dal 2011 il primato qaedista nel panorama terroristico africano e globale è stato messo in discussione dalla nascita dello Stato Islamico.

Infatti, il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi, grazie all’innovativo utilizzo della propaganda e grazie all’implementazione di un modello jihadista incentrato sulla governabilità e sulla creazione di realtà para-statali ha rappresentato una sfida concreta al progetto qaedista, soprattutto per il reclutamento delle giovani generazioni di combattenti. Lo Stato Islamico si propone di sedimentare il proprio controllo in un contesto territoriale definito, per poi gestirlo e amministrarlo direttamente. A differenza dei miliziani di al-Qaeda, i combattenti dell’IS costituiscono un vero e proprio “esercito” che difende interessi genuinamente nazionali po0nendoli sotto l’ombrello ideologico del jihadismo. Ugualmente, l’implementazione di una struttura orizzontale del potere ha permesso a Daesh di unificare vasta gamma di gruppi sotto un’unica e fluida identità, specialmente le classi subalterne, più povere ed emarginate. Per questo motivo il modello di Daesh è stato caratterizzato da una forte adattabilità ai contesti locali.

Nel continente africano, la penetrazione di Daesh è avvenuta in quei contesti dove il processo di radicalizzazione jihadista è stato lo strumento utilizzato da alcune popolazioni per rivendicare la propria identità particolare e autonomia territoriale rispetto allo Stato Centrale. Nel caso della Nigeria, l’ideologia islamica radicale è servita alla popolazione di etnia Kanuri (residente nello Stato del Borno e anche nelle zone adiacenti al lago Ciad in Niger e Camerun) per esprimere le proprie rivendicazioni territoriali e sociali in opposizione al Governo di Abuja. Sebbene i Kanuri avessero precedentemente congelato il proprio processo di radicalizzazione, nel corso degli anni ’90 c’è stata una nuova diffusione del pensiero islamico radicale (avutasi grazie alle attività caritatevoli svolte dai suoi predicatori) che si è poi evoluta in un’ideologia di lotta armata e nella nascita di Boko Haram (L’Educazione Occidentale è Peccato in lingua Hausa). Di fatti, la popolazione Kanuri ha identificato la jihad come mezzo per contrastare la diseguaglianza economica e sociale rispetto all’etnia dominante Hausa e rispetto ai cristiani emigrati al nord in seguito a un programma di reinsediamento promosso dallo Stato per sistemare gli sfollati della Guerra del Biafra. La forte identità etnica, l’alto grado di territorializzazione del potere e la necessità di ottenere supporto, finanziamenti e legittimità internazionali hanno spinto Boko Haram ad aderire al network di Daesh e a dichiarare la regione del Lago Ciad quale provincia del Califfato.

Ci sono tuttavia dei contesti in cui la competizione tra i due modelli è ancora in via di evoluzione e non è facile determinare quale affiliazione andrà a prevalere. La Somalia rappresenta uno degli scenari in cui lo scontro tra le due principali correnti del terrorismo internazionale risulta essere già in via di sviluppo. Il gruppo jihadista di al-Shabaab (ufficialmente affiliato ad al-Qaeda) ha subito recentemente un mutamento degli equilibri interni alla leadership che hanno portato prima al distacco di alcune brigate dal nucleo centrale e successivamente alla loro affiliazione (non ancora riconosciuta) allo Stato Islamico.  

Inoltre, il recente indebolimento dell’operatività di al-Shabaab è attribuibile principalmente alla crisi del comando centrale a causa della morte dell’emiro Ahmed Abdi Godane (ucciso da un attacco di un drone statunitense nel settembre 2014) e del comandante dell’Amniyat (il Servizio di intelligence e sicurezza di al-Shabaab) Mahad Karatey (ucciso nel 2016). Difatti dopo la morte di Godane, si è verificato uno scontro interno all’organizzazione tra leader più anziani e conservatori, che sostenevano prosecuzione dell’affiliazione ad al-Qaeda, e i combattenti più giovani, che proponevano un cambio di alleanze a favore dello Stato Islamico. Altrettanto importanti per la riduzione della capacità esecutiva dell’organizzazione, sono i recenti successi militari ottenuti dall’azione congiunta delle forze di AMISOM (African Union Mission in Somalia) e dei raid aerei statunitensi, che hanno portato alla perdita di diverse città e all’ammutinamento numerosi miliziani.

La nascita del gruppo jihadista Jahba East Africa (Il Fronte dell’Africa Orientale), auto-proclamatosi affiliato allo Stato Islamico, potrebbe essere una delle prime conseguenze di questi cambiamenti dello scenario somalo. Le brigate di questa nuova fazione jihadista potrebbero essere la prima manifestazione concreta di fenomeni di dissenso e secessione dalle fila di al-Shabaab da parte di comandanti che mirano a ottenere una più ampia autonomia e potere.

A seconda degli esempi presentati, si comprende come l’alternanza dell’affiliazione dei gruppi jihadisti africani alle reti di al-Qaeda o del Califfato dipende principalmente dagli obiettivi specifici e dalle dinamiche inter-etniche determinate dal contesto locale in cui queste cellule satelliti si sviluppano. L’adattabilità del modello qaedista o di quello di Daesh deriva dai cambiamenti politici e sociali che vi sono stati all’interno dei Paesi coinvolti e dalle competizioni tra le vecchie e le nuove generazioni di combattenti.

 Ad oggi, risulta evidente come lo Stato Islamico rappresenti un passaggio successivo al modello di al-Qaeda. Daesh si è insediato nei contesti dove le popolazioni locali hanno un forte legame con il territorio e sono pronti a rivendicarne l’autonomia e l’indipendenza dal governo centrale (come i Kanuri in Nigeria) attraverso la jihad. Laddove l’elemento della territorialità e dell’amministrazione diretta è più flebile prevale il modello di network a maglie larghe promosso da AQMI.

La soluzione per contrastare il rafforzamento dei due principali movimenti terroristici globali in Africa, potrebbe trovarsi nell’implementazione di programmi di de-radicalizzazione, promozione dello sviluppo sociale e incremento della partecipazione politica dei gruppi subalterni.