26 GIUGNO 2017
Le prime radici del radicalismo jihadista in Finlandia
DI Luca Bregantini

La Finlandia è un Paese costituito da circa cinque milioni e mezzo di abitanti, dove si vive abbastanza bene; non a caso il suo reddito pro-capite si conferma superiore a quello di molti altri Paesi europei, nonostante una congiuntura economica non favorevole. La popolazione finlandese si distingue inoltre per l’elevato livello d’istruzione, una buona conoscenza delle lingue straniere e un diffuso uso di strumenti informatici. A corollario di ciò c’è un’alta aspettativa di vita, abbastanza tempo libero e un welfare pubblico in cui, oltre ai tradizionali strumenti di sostegno al reddito, si stanno sperimentando formule innovative di reddito di cittadinanza. Eppure, proprio in Finlandia esiste un alto numero di jihadisti rispetto alla consistenza demografica della comunità musulmana.

In Finlandia, nonostante da più di un secolo sia presente una comunità tartara, la maggioranza dei musulmani è costituita da immigrati, due terzi dei quali sono rifugiati o figli di quest’ultimi. Le stime sulla consistenza della comunità islamica sono discordanti dal momento che non tutti i musulmani si registrano ufficialmente nelle comunità religiose. Ad oggi dovrebbero essere almeno settantamila, ma il massiccio arrivo di richiedenti asilo del 2015, circa trentamila migranti, potrebbe aver anche innalzato queste cifre. La comunità musulmana si è inoltre accresciuta non solo grazie alla demografia dei flussi ma anche per l’alto livello di natalità, il cui effetto è stato ulteriormente amplificato dalle conversioni. All’interno di quella galassia multietnica che costituisce la comunità musulmana, oggi i tatari rappresentano la componente etnica certamente più integrata nella società finlandese. Per quanto concerne invece le minoranze di più recente immigrazione, queste includono soprattutto somali, arabi, curdi, turchi, bosniaci provenienti dall'ex Jugoslavia e albanesi del Kosovo. Secondo fonti israeliane, il primo foreign fighter finlandese sarebbe proprio un giovane di origine somala proveniente da Espoo, un centro non distante da Helsinki, dove si sarebbe trasferito con la famiglia quando aveva due anni appena. Questi nel dicembre 2012 si era trasferito in Siria passando per la Turchia. L’esistenza in Finlandia di una comunità somala di circa 15.000 persone costituisce un elemento importante per spiegare la presenza nel Paese di collegamenti con l’organizzazione terroristica somala di al-Shabaab. In Finlandia, indagini condotte da polizia e servizi di sicurezza nel novembre 2013 hanno portato al fermo di ben sei persone di origine somala sospettate di svolgere attività terroristiche in coordinamento con al-Shabaab. Comunità somala a parte, l’elemento unificatore di questo melting pot è l’Islam sunnita: gli sciiti, infatti, in Finlandia non vanno oltre il 10–15% del totale dei musulmani La maggioranza dei musulmani che risiedono in Finlandia risiede nell'area metropolitana di Helsinki, che conta poco più di 600 mila abitanti e in altri importanti città, come ad esempio Turku e Tampere. Anche al di là della sua vivacità demografica, la comunità musulmana esprime una società civile piuttosto attiva, giacché conta circa una cinquantina di associazioni religiose, vale a dire veri e propri luoghi di culto o moschee non ufficiali, alle quali si deve aggiungere un numero imprecisato di “stanze” di preghiera sparse un po’ per tutto il Paese e un’altra trentina di associazioni musulmane giovanili o di genere. Per renderci conto dell’importante ruolo religioso di Helsinki basterebbe ricordare che nella sola area metropolitana della capitale vi sono una quarantina di centri di aggregazione finalizzati a sostenere la pratica religiosa.

Tra il 2014 e 2015 i servizi finlandesi hanno segnalato una forte attività jihadista transnazionale a base multietnica il cui nucleo fondamentale era costituito da Rawti Shax (“Nuovo Corso”) una sorta di spin-off del gruppo radicale Ansar al-Islam, rete attiva in tutta Europa. Al vertice di Ansar al-Islam c’era l’imam Najmuddin Faraj Ahmad, alias “Mullah Krekar”, un sessantenne curdo iracheno, già suo leader e fondatore. Il Mullah Krekar, fuggito dall'Iraq e ottenuto l'asilo politico in Norvegia, ha sempre sostenuto l'attività dei gruppi  sunniti iracheni di matrice jihadista ed è stato più volte arrestato e condannato per istigazione all'odio e alla violenza. L’organizzazione, che prevedeva di effettuare anche attentati in Europa, voleva instaurare uno stato teocratico fondato sull’applicazione della sharia nel Kurdistan iracheno. I membri finlandesi di Rawti Shax erano solamente due, ed oggi, presumibilmente sono morti combattendo per lo Stato Islamico in Siria o Iraq.

Secondo l’intelligence finlandese gran parte dei jihadisti finlandesi non sarebbero giunti con i più recenti flussi di migranti ma sarebbero cresciuti in Finlandia, radicalizzandosi quindi in loco. La mobilitazione autoctona è piuttosto recente: nel 2012 i foreign fighters erano ancora poche unità mentre nel 2015 sono diventati già una settantina. E ad oggi quella cifra potrebbe essere salita ancora fino a raggiungere gli 80-120 miliziani. Sono cifre estremamente significative, soprattutto tenendo conto della popolazione finlandese che nel suo insieme non raggiunge i 6 milioni di abitanti. Nella maggior parte dei casi si tratta di musulmani di fede sunnita, hanno circa una ventina d’anni, e sono per lo più maschi. Più interessante è sapere che la presenza femminile è stimata attorno al 20%, il che significa che le donne sono molte e che la Finlandia sotto questo aspetto richiama altri paesi nordici. Inoltre, una quota minoritaria di foreign fighters è di età compresa tra i quaranta ed i cinquant’anni: ovvero si tratta di adulti, molto probabilmente stranieri, e non di giovani autoctoni. La maggior parte di questi jihadisti viene dai grandi centri urbani della Finlandia sud-occidentale, e precisamente da Helsinki e Turku, che tra l’altro sono i centri urbani finlandesi con la più alta concentrazione di musulmani. Secondo i servizi finlandesi tra i foreign fighters che nel 2015 erano giunti in Siria ed Iraq si potevano contare già almeno una decina di caduti, mentre almeno una trentina potevano considerarsi ancora operativi nel Califfato. Se si accettano queste cifre, una semplice sottrazione, ci porta ad affermare che attualmente potrebbero essere già rientrati in Europa almeno ventina di jihadisti finlandesi. Relativamente all’impatto che in Europa potrebbero avere quei veterani, al momento almeno due sarebbero gli scenari più accreditati.

Il primo, più temuto ma fortunatamente giudicato meno probabile, prevede la possibilità che al loro rientro i veterani possano pianificare attacchi in prima persona. Del resto finora non sono stati molti i veterani di Siria ed Iraq coinvolti direttamente nella pianificazione di attacchi in Europa. Pertanto, molto più minaccioso sembra il secondo scenario, quello che vede questi reduci attivamente impegnati nell’espansione della rete eversiva in Finlandia. Rete che, del resto, viene data comunque in rapida crescita dalle agenzie locali, anche a prescindere dell’andamento della guerra in Siria. Generalmente i veterani sono giudicati dei validi reclutatori proprio perché godono di grande considerazione tra i simpatizzanti del jihad. Essi sono soprattutto considerati soggetti altamente credibili e quindi adatti a far proseliti per lo Stato Islamico. A ciò si aggiunga che essi generalmente rientrano nel proprio contesto sociale di riferimento: tornano in un ambiente a loro familiare e si possono facilmente reinserire all’interno dei circoli sociali che già frequentavano in precedenza. La credibilità dei veterani è inoltre alimentata dall’aura di eroismo che li circonda: essi raccontano delle battaglie a cui hanno partecipato e riproducono nei loro racconti la stessa narrativa jihadista alimentata dalla rete. Nel racconto la propaganda virtuale prende corpo e assume connotazione di verità, alimentando quindi il desiderio di partecipazione attiva alla costruzione del Califfato anche attraverso la jihad nella loro terra di residenza. Attualmente in Finlandia vi sarebbero circa trecento soggetti monitorati dai servizi di intelligence, i quali avrebbero consolidati legami, virtuali e non, con altri jihadisti attivi all’estero, e principalmente in Siria, Iraq e Somalia.

Accanto al tema del terrorismo jihadista uno dei temi più caldi del panorama finlandese è la questione migranti, soprattutto perché nel dibattito pubblico e mediatico del Paese tendono ad essere strettamente interrelati. La Finlandia nel solo 2015 ha accolto ben 32.000 richiedenti asilo: un numero notevole in virtù della consistenza demografica della popolazione finnica. Non deve meravigliare più di tanto se un clima surriscaldato dal confronto politico produca fenomeni di polarizzazione sociale che favoriscono sia spinte verso la radicalizzazione, quanto le rivendicazioni populiste della destra più apertamente xenofoba.

In questo clima lo scenario si viene ad arricchire di episodi la cui natura è estremamente ambigua. Uno dei risultati è l’attivismo dei Soldati di Odino, militanti dell'estrema destra finlandese decisi a porre fine a quella che ritengono una vera e propria emergenza, ossia le molestie sessuali dei richiedenti asilo nei confronti delle donne europee. Quest’ultimi organizzano delle ronde con il fine dichiarato di proteggere i cittadini, ma di fatto contribuiscono ad alimentare le paure ed esacerbare gli animi. Nella città di Tampere, dove sono stati accolti più di quattromila richiedenti asilo in un centro di duecentomila abitanti, nel 2016 si sono registrati oltre una cinquantina di incidenti, tra cui l’incendio di un centro di accoglienza. In tutti questi casi i profughi sono stati protagonisti o come vittime o come sospettati di violenze. Non a caso la Finlandia sta valutando l’opportunità di rimpatriare, nei prossimi anni, tutti quei profughi a cui è stata negata la protezione internazionale da parte delle commissioni per il diritto d'asilo. Sul versante opposto va ricordato che, a parte le violenze reali o presunte compiute dai migranti, dalle agenzie di intelligence è stato anche fatto notare che il rischio che con i richiedenti asilo arrivino anche dei terroristi. Ma questa eventualità non sembrerebbe rivestire né carattere di sistematicità né dimensioni tali da giustificare un’allerta specifica. Se fermi ed arresti per questa ragione sono stati fatti, ben altra cosa è affermare l’esistenza di una correlazione diretta tra i fenomeni. Esiste tuttavia anche il rischio che proprio dalla mancata inclusione sociale dei nuovi arrivati possano nascere nuove occasioni di radicalizzazione.

Quanto affermato permette di effettuare tre differenti riflessioni. La prima riflessione è relativa alla presenza significativa di donne nel gruppo dei foreign fighters finnici. Come già riscontrato anche in altre realtà del nordeuropee le donne seguono sempre più numerose le vicende del Califfato. Può sembrare paradossale ma forse lo Stato Islamico esercita una sua capacità di attrazione proprio su quelle donne che, incardinate all’interno di una comunità fortemente integralista, non riescono a trovare adeguati spazi di autonomia neppure nella tollerante ed egualitaria Scandinavia. La seconda considerazione riguarda il ritorno e il ruolo dei foreign fighter di ritorno: accanto ai due scenari più accreditati ve ne potrebbe essere un terzo, ossia il ritorno dei perdenti. Costoro sarebbero quei giovani che avrebbero visto crollare sotto i propri occhi il mito jihadista del Califfato e sarebbero ritornati in patria disillusi o traumatizzati. Questi soggetti potrebbero infatti risultare strategici nel contrasto attivo alla jihad attraverso un loro impegno effettivo a supporto dei processi di de-radicalizzazione. L’ultima riflessione è di ordine socio-demografico. Il caso finlandese, infatti, ci suggerisce di prestare attenzione ad un fatto: non necessariamente in presenza di piccoli numeri della comunità islamica è escluso il rischio di terrorismo jihadista: ne è un esempio la comunità musulmana in Finlandia dove, pur in presenza di valori assoluti e quote percentuali irrisorie, abbiamo assistito alla trasformazione di Helsinki in uno degli hub del terrorismo europeo.