25 SETTEMBRE 2018
L'attacco ad Ahvaz e le molteplici criticità del Khuzestan iraniano
DI Francesca Manenti

Sabato 22 settembre un gruppo di quattro uomini armati ha aperto il fuoco contro la parata militare organizzata ad Ahvaz, capoluogo della provincia meridionale del Khuzestan, in occasione della commorazione della guerra combattuta contro l’Iraq nel periodo 1981-1988. L’attacco ha causato la morte di 29 persone, tra civili ed esponenti delle Guardie della Rivoluzione, e circa 70 feriti.  Due attentatori sono rimasti uccisi durante gli scontri con le Forze di sicurezza iraniane, che sarebbero riuscite a fermare gli altri componenti del gruppo di fuoco.

L’assalto alla parata militare è stato uno degli attacchi terroristici più violenti condotti in territorio iraniano, ma solo l’ultimo episodio di una profonda instabilità che da sempre scuote la provincia del Khuzestan. Abitata dalla minoranza etnica degli arabi iraniani, questa regione è attraversata sin dagli Anni Venti del ‘900 da istanze autonomiste che, a partire dal Secondo Dopoguerra, hanno trovato espressione in veri e proprio movimenti politici di opposizione al governo centrale di Teheran. Benché il panorama dell’indipendentismo arabo in Iran sia sempre stato tutt’altro che omogeneo, nel tempo, ed in particolare dopo la fondazione della Repubblica Islamica, questi gruppi si sono polarizzati in due anime: da un lato, gli autonomisti che rivendicano la federalizzazione della sola regione del Khuzestan all’interno dello Stato iraniano; dall’altro, gli indipendentisti i quali invocano la lotta armata contro il governo centrale in nome di un pan-arabismo che avrebbe dovuto condurre alla secessione della provincia del Khuzestan e alla formazione dell’Arabistan (o al-Ahwaz) indipendente. Questa dicotomia di aspirazioni politiche è emersa con tutta la sua forza già durante gli otto anni di guerra con l’Iraq, uno dei momenti che ha maggiormente segnato la storia dell’Iran negli ultimi quarant’anni. In quell’occasione, infatti, se i gruppi autonomisti hanno combattuto in difesa del governo di Teheran, gli indipendentisti hanno invece rappresentato una quinta colonna per l’Iraq di Saddam Hussein nelle operazioni contro l’Iran. Conosciuto come Arabic Front for the Liberation of al-Ahwaz, questo ombrello si è successivamente scisso in diverse realtà indipendenti tra loro per leadership e catena di comando e controllo, ma accomunati dall’interesse di rappresentare gli interessi della minoranza araba iraniana e portare avanti la lotta per la sua indipendenza.

Messi al bando dal governo centrale, questi movimenti hanno per lo più sede all’estero, in Europa (tra Olanda e Gran Bretagna), negli Stati Uniti, e nelle Monarchie del Golfo (specialmente in Kuwait). Benché entrambe le correnti continuino a svolgere un’attività di pressione diplomatica a livello internazionale, in realtà attualmente è la componente indipendentista a portare avanti con maggior efficacia la propria agenda. La forza della componente autonomista, infatti, si è ridimensionata nel corso degli ultimi anni, fino a confluire, nel marzo 2005, nel Congress of Iranian Nationalities for a Federal Iran (CINFI), coalizione politica formata da rappresentanti di tutte le minoranze etniche presenti in Iran, che porta avanti un progetto corale di federazione all’interno della Repubblica Islamica. Al contrario, i gruppi indipendentisti, che hanno abbinato alla pressione diplomatica l’utilizzo di attività di insorgenza interna al Khuzestan, si sono accreditati negli ultimi quindici anni come i principali sostenitori delle istanze della minoranza araba iraniana.

Tuttavia, le difficoltà riscontrate nel portare avanti concretamente la propria campagna contro la Repubblica Islamica, amplificate dalla lontananza geografica, ha ridimensionato l’attività di molti gruppi nel corso degli anni. Ad oggi, gran parte della galassia indipendentista è confluita sotto l’unico grande ombrello dell’Arab Struggle Movement for the Liberation of Ahwaz (ASMLA), organizzazione di stampo baathista, il cui braccio armato, Martyr Mohye al-Din al-Nasir Brigade (MMDNB), è stato responsabile dei principali attacchi condotti in Khuzestan e ad Ahvaz negli ultimi tredici anni. Sono state rivendicate dal gruppo, infatti, sia la serie di esplosioni provocate durante i quattro giorni di violenze ad Ahvaz nel 2005 (innescate in seguito alla diffusione di un presunto progetto da parte del governo di ridurre la percentuale di popolazione araba nella provincia sud-occidentale, rivelatosi poi falso) sia i ripetuti attacchi organizzati negli ultimi cinque anni contro le infrastrutture petrolifere locali, considerate un obiettivo strategico per colpire l’economia del Paese. Il Khuzestan, infatti, è l’area in cui si concentra circa l’80% delle riserve petrolifere on shore della Repubblica Islamica e da cui dipende la capacità produttiva del Paese.

Il modus operandi fino ad ora utilizzato dai gruppi, soprattutto dal MMDNB, che ha sempre cercato di limitare gli attacchi ad obiettivi istituzionali o soft target (quali le banche) e di ridurre il coinvolgimento di vittime civili, mettono in luce una profonda diversità con l’attentato alla parata militare, per il quale non è stato ancora possibile identificare un responsabile certo. Tale incertezza è legata anche alle diverse rivendicazioni giunte nelle ore successive all’assalto, reclamato apparentemente sia da una cellula dell’ASMLA sia dallo Stato Islamico. Se la leadership dell’ASMLA ha preso ufficialmente le distanze dall’attentato, la rivendicazione dello Stato Islamico, per quanto poco accurata, non ha fino ad ora ricevuto smentite ufficiali. Ciò apre alla possibilità che ci sia stato effettivamente un contatto tra la militanza araba iraniana e gli ambienti jihadisti oltre confine, accomunati, almeno fino ad ora, non da motivazioni ideologiche, ma dal contrasto alla forza istituzionale e militare dell’Iran.  

L’attacco di Ahvaz, dunque, sembra essere il frutto di un’evoluzione in corso nell’insorgenza araba locale, in cui il tradizionale risentimento nei confronti di Teheran si innesta in un contesto in cui la lontananza dei vertici dei diversi gruppi ha creato uno scollamento tra la direzione politica e la base militante. Questa frattura all’interno del movimento sembra essere stata, se non generata, quanto meno acuita dalle difficili condizioni economico-sociali in cui vive la popolazione locale. Nel corso dell’ultimo anno, infatti, il Khuzestan è stato teatro di una serie di proteste popolari che hanno portato la popolazione a manifestare il proprio malcontento per la precarietà della qualità ambientale, la scarsità delle risorse idriche, la dilagante disoccupazione e l’assenza di politiche efficaci da parte delle autorità, sia locali sia centrali. Dopo i disordini del 2017 iniziati in seguito al black out elettrico che aveva immobilizzato la provincia per giorni, l’area si è nuovamente infiammata lo scorso gennaio, sull’onda lunga delle proteste scoppiate a Mashad e poi a macchia di leopardo nel resto del Paese per il rincaro dei prezzi sui beni di prima necessità, ed è stata teatro di nuove manifestazioni questa estate, a causa del divieto del governo di coltivare il riso a causa dell’emergenza idrica scoppiata in tutto il sud del Paese.

In questo contesto di forte malcontento sociale, l’insorgenza locale sembra aver trovato un nuovo spazio d’azione, che prescinde dalle disposizioni della leadership all’estero per portare avanti una campagna anti-statale più rapida ed efficace. Sebbene questa trasformazione sembrerebbe essere ancora in fieri e mantenere una natura prettamente politica di antagonismo al governo iraniano, non è da escludere che il processo possa portare ad una maggior radicalizzazione delle istanze espresse dalla militanza. Infatti, se fino ad ora la connotazione religiosa non è mai stata centrale nell’agenda della minoranza araba iraniana, la necessità di reperire nuovi mezzi e di inserirsi in un network di maggior respiro rispetto alle reti logistiche di contrabbando di armi presenti in Iran, potrebbero spingere le nuove cellule a cercare contatti con i gruppi jihadisti, presenti nella regione, quali lo Stato Islamico, e ad iniziare una pragmatica collaborazione che possa indebolire la Repubblica Islamica dall’interno. Per l’insorgenza araba iraniana ciò rappresenterebbe il modo per alzare il tiro nella lotta contro il governo centrale, rilanciare la propria immagine ed allargare così la base di reclutamento. Per i gruppi jihadisti aprirebbe un’importante finestra di opportunità attraverso la quale tenere sotto pressione le autorità iraniane ed aprire un fronte interno che dreni uomini e risorse o, quanto meno, distolga l’attenzione delle Forze di sicurezza dai teatri regionali.